Mare Fuori – Scopriamo Ciro Ricci ! “Giacomo Giorgi”
Per costruire il personaggio di Ciro Ricci, Giacomo Giorgi deve dire grazie a Riccardo III e a Daniel Day-Lewis. «Ho rivisto tantissime volte Gangs of New York perché il personaggio del Macellaio, uno dei più cattivi della storia, mi ha dato una grossa mano con Ciro. Ci tenevo a renderlo anche visivamente un po’ storto, con questa grande possibilità tra le mani, rotta da cose sbagliate». Il ruolo, uno dei più magnetici e graffianti di Mare Fuori, ha portato l’attore a una trasformazione anche sul piano estetico: se nelle foto che vedete qui in alto Giacomo ha i ricci e un filo di barba, nella serie di Raidue si mostra con i capelli gellati, imberbe e pure con una cicatrice sul sopracciglio che ci ha messo sei mesi prima di ricrescere. «Ho perso anche sei chili: interpretando un diciassettenne era un po’ logico mostrare un fisico più esile e asciutto» insiste Giorgio, classe 1998, napoletano, una carriera divisa tra teatro, cinema e tv e la sana ansia che le nuove puntate della serie piacciano al pubblico.
Le piace rivedersi?«No, per niente. Dipendesse da me non mi rivedrei quasi mai perché rischio sempre di cadere nell’insoddisfazione, nel “potevo fare meglio”».
È sempre stato così critico?«Attorialmente sì. Sono molto esigente con me stesso».
In Mare Fuori presta il volto a un super-cattivo che, però, non si sporca le mani.«Ciro parte come la mente del branco perché viene da una famiglia potente, è in carcere da più tempo degli altri e la sua è la pena più grossa: è l’esempio del potenziale usato in maniera sbagliata. Ciro è intelligente, arguto, parla l’italiano, ed è chiaro che se avesse avuto altri modelli probabilmente sarebbe potuto essere un grande medico o avvocato».
Da dove è partito per costruirlo?«Tutti i miei personaggi cerco di trovarli per strada, osservando gli esempi viventi di quello che andrò a interpretare. Prima delle riprese di Mare Fuori sono tornato a Napoli per girare i quartieri, parlare con la gente e visitare il carcere di Nisida che, però, abbiamo visto solo un mese e mezzo dopo l’apertura del set: capire che la realtà che stavamo ricostruendo aveva un’attinenza con quella del carcere vero ci ha rincuorato molto».
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